IL CONSENSO, LA DEMOCRAZIA E IL DEBITO
“Ma tu per chi voti?” Questa
la domanda che ognuno di noi farà – in confidenza – ad amici e parenti, ma
soprattutto a se stesso. Da qui fino al 4 marzo. Nella canzone “Mrs Robinson”
Simon & Garfunkel cantavano “Quando vai a votare e sei di fronte ad una
scelta, qualsiasi scelta fai hai già perso”. Sarà così anche questa volta?
Temiamo di sì.
Desideriamo sgomberare il campo da facili critiche ai politici,
spesso accusati di inefficienza e corruzione. Questi aspetti rappresentano un
altro problema. Quello che intendiamo condividere con i nostri concittadini
sono punti ben più gravi e drammatici. Siamo convinti che sia necessario
spostare l’attenzione su noi cittadini e sulle idee che ognuno di noi ha in
particolare sull’economia in funzione del benessere della collettività. Su
questo e diversi aspetti fondamentali abbiamo ceduto ad altri il nostro
‘consenso’, delegando persone che si sono rivelate anche incapaci o in
malafede. Che cosa abbiamo effettivamente delegato?
L’economia, o meglio, la macroeconomia.
Siamo tempestati da concetti sbagliati, assunti indimostrabili, quasi delle
‘superstizioni’, su ciò che è la moneta, il debito pubblico e la spesa a
deficit. I messaggi che riceviamo oggi come litanie in ogni discussione, hanno
come base e certezza il concetto che “il debito pubblico è il male e va
abbassato, la moneta è scarsa, il bilancio governativo (dello Stato) è come
quello di una famiglia”. Questi concetti vengono dati per veri e indiscutibili,
come dei dogmi. La realtà dei fatti – lo sa bene chi studia la materia a fondo
senza preconcetti o conflitti di interesse – è che la moneta non è scarsa, il
deficit dello Stato è la nostra ricchezza e di conseguenza il debito pubblico
non è il ‘male’. Nel primo caso non riusciremo mai a guarire dai nostri mali
(crisi economica, povertà e disuguaglianze). Nel secondo avremmo messo in atto
le condizioni necessarie per avviare il percorso di guarigione.
Da queste superstizioni è nato il
primato dei mercati finanziari sui governi. In un mondo in debito di leadership
politica, i mercati si sono presi il ruolo di guida e di faro delle nazioni.
Tanto che tutte le nostre azioni sono fatte per rassicurarli. I mercati quindi
oggi fanno tutto tranne che finanziare e hanno acquistato un potere politico
assoluto. Dettano legge, letteralmente. Impongono le politiche economiche,
destituiscono i governi, eliminano diritti che per loro sono intralci. Sono
stati tutti i nostri Governi (in particolare dagli Anni ‘90 ad oggi) a cedere
questo potere. Hanno distorto e depotenziato la Costituzione cedendo alla
finanza i meccanismi economici di controllo della moneta, del deficit e del
debito. Quando uno Stato, un insieme di Stati o una Federazione di Stati cede
il potere di emissione monetaria, perde ogni tipo di potere. Non sono più stati
democratici. Il punto è che perdendo il controllo e la proprietà della Banca
centrale si è trasformato in debito ciò che debito non era. La democrazia è
scomparsa non perché non si può votare ma perché il voto non cambia nulla. Il
potere lo ha chi detiene l’emissione monetaria e di conseguenza chi controlla
il debito.
Per poter comprendere pienamente quanto
si sta dicendo occorre però fare un breve cenno sulla natura della moneta. “La
moneta è merce ed è per sua natura scarsa”. Non è vero. La moneta è una
Istituzione. La sua natura, la sua essenza attiene al diritto, quindi alla
politica e dopo è usata dall’economia. Occorre ripristinare questa priorità
altrimenti nulla ha più senso. E ripristinare significa che deve appartenere
all’istituzione cioè alla comunità. L’Italia è una repubblica democratica, “La
sovranità appartiene al popolo che la esercita nei limiti e nelle forme della
Costituzione” afferma la nostra Costituzione. E noi cosa abbiamo fatto? Abbiamo
ceduto il più importante strumento di relazione e scambio economico e sociale:
il potere di emettere moneta. Lo abbiamo ceduto a gruppi ristretti di persone
che controllano la finanza. “Ce lo chiedono i mercati” ci dicono. E noi
cittadini fino ad oggi lo abbiamo accettato. E pensiamo che la moneta come
unità di misura sia scarsa. “Non ci sono i soldi” ci dicono ed è falso e quindi
strumentale.
Si chiama ‘neo liberismo’ nella sua
forma più aberrante che è l’ordoliberismo. Questa dottrina porta anche
esponenti politici con incarichi istituzionali ad affermare quanto segue:
“L’idea di affidare allo Stato (e/o ai cittadini) la decisione di determinare
la quantità di moneta in circolazione ci riporterebbe indietro di vari decenni,
riproponendo fattori di crisi che, per fortuna, siamo riusciti a superare”. Si
spera volesse dire un’altra cosa, ma è proprio qui la pericolosità e il dramma
di ciò che stiamo vivendo.
Lo Stato con sovranità monetaria (come
gli Stati Uniti, la Cina o l’Italia fino agli Anni ‘80),ha la facoltà di creare
– in base al fabbisogno della propria collettività – moneta dal nulla e senza
debito (volendo senza banche) e la immette nella economia e nella società con
la spesa a deficit. Cosa stiamo dicendo, o meglio, cosa dice la macroeconomia?
Lo Stato, se è emittente di moneta, non ha bisogno del mercato per trovare la
propria valuta. Può crearla dal nulla e senza indebitarsi e immetterla
nell’economia nella giusta misura. Come? Spende più di quanto incassa con le
imposte (la spesa a deficit appunto). E ovviamente questo significa che
famiglie e imprese hanno la quantità giusta di moneta per far funzionare
l’economia. E per risparmiare. Lo Stato a questo punto può offrire un servizio:
permettere ai cittadini di acquistare i Titoli di stato. I cittadini vedono
quindi remunerati i propri risparmi (magari al tasso di inflazione). Questo
dovrebbe essere il Debito pubblico e si dovrebbe una volta per tutte cambiare
il nome: Risparmio remunerato e sicuro di imprese e cittadini presso il Ministero
del Tesoro.
E’ chiaro quindi che la spesa a deficit
di uno stato è la ricchezza finanziaria dei cittadini. Quindi se lo Stato
immette nel sistema economico del paese poca moneta, l’economia reale non gira.
E’ come un essere vivente con poco o senza sangue: si ammala, muore. Se lo
Stato ne emette la giusta quantità (non troppa per evitare inflazione e
instabilità dei prezzi) allora noi possiamo attivare tutta l’operosità di
cittadini e cittadine preparati, capaci, pieni di voglia di fare . Ma
attenzione, in tutti i casi lo stato non si indebita con alcuno. Non ha bisogno
di chiedere ad alcuno la moneta che gli serve per far prosperare la nazione.
Tutto questo in uno stato sovrano, con moneta sovrana e politici capaci. Li
abbiamo persi tutti e tre. Non ce ne siamo accorti. Fino ad oggi.
Tutti noi sentiamo nel cuore e nella
mente che l’unica vera ricchezza di una comunità sono i frutti del nostro
lavoro. E con questo intendiamo l’arte, la cultura, l’industria, la scienza, la
filosofia, la politica, il gusto di divertirsi insieme, la bellezza della
solidarietà. Come abbiamo potuto permettere che il nostro lavoro si
trasformasse in un costo, tanto che conviene tenere inattive milioni di persone
perché dargli un lavoro costerebbe troppo? Non ci rendiamo conto che la vera
perdita di ricchezza è impedire a milioni di persone di lavorare? Come abbiamo
permesso che fare un figlio divenisse un costo? Lo abbiamo permesso con le idee
errate su moneta, deficit e debito pubblico. Da qui occorre partire, ragionare,
approfondire e parlare prima di votare.
La miseria e la sofferenza oggi sono
create dalla scarsità di moneta e da un falso concetto di Debito Pubblico. Da
qui dobbiamo ripartire per costruire le basi di una società più giusta e senza
povertà.
Se non capiamo questo spegniamo solo le
‘fiamme’ (nei migliori dei casi), invece comprendendo le reali dinamiche
economiche possiamo fermare ‘l’incendio’ e costruire una casa accogliente per
tutti, un mondo e una vita di prosperità per tutti. Da oggi possiamo dire “Noi
Sappiamo”.
GECOFE - Gruppo ECOnomia FErrara
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